Nel 1994, il mio eroe si chiamava
Giuseppe Giannini, il principe. Lo stesso valeva per molti
altri miei coetanei, ma un bambino non è mai geloso: ha solo bisogno
di credere che ci sia qualcuno pronto a proteggerlo dal più grande
avversario che conosce, ovvero il disincanto.
Per questo, un gol di Giannini valeva
più di quello degli altri, perché era un omaggio diretto alla magia
del calcio.
Quello era l'anno della quarta
elementare, del sei grande ma non troppo; andavo ancora a
letto dopo cena, ma non quando c'era il posticipo. Il
posticipo era un rito laico che si compiva con regolarità svizzera
quelle poche volte che la Roma giocava la sera. In uno slancio di
entusiasmo mio padre si era infatti abbonato a telepiù, costringendo
mia madre a lunghe maratone in cucina per fare fronte a tutti gli
invitati. Le regole erano ferree: i grandi erano sul divano e i
bambini seduti per terra. Poi tutti in religioso silenzio ad
ascoltare la telecronaca, in attesa che si gonfiasse la rete
avversaria.
Quella sera del marzo 1994, la Roma era
impegnata nella partita più importante dell'anno: il derby, ovvero
l'unica occasione in cui erano ammessi anche laziali al posticipo.
Sempre uno massimo due, ma temuti perché minoranza infausta e
pericolosa.
Sullo schermo, scorrono le immagini dei
giocatori. Uso il presente, perché nella mente dei tifosi esiste
un'unica grande eterna partita. Giuseppe Giannini, il numero dieci, è
il leader indiscusso della Roma di Carlo Mazzone. Dall'altra parte
del campo, la Lazio di Signori e Marchegiani. Il primo tempo si
conclude uno a zero per loro. Poco male, le pance erano ancora piene
per la cena appena trascorsa e c'era tutto il secondo tempo per
digerire e sperare in Giuseppe Giannini. Lui, l'eroe, non ci tradirà
mai.
In effetti la Roma comincia bene. Dopo
pochi minuti entra in campo un ragazzetto biondo di nome Francesco
Totti. Il principe lo incoraggia subito, ancora non sa che
quel giovane diventerà re. Il talento già si vede, ed a metà
secondo tempo Francesco entra in area di rigore vicino alla linea di
fondo, salta un avversario e viene messo a terra. Rigore. Sulla
palla, Giuseppe Giannini, l'eroe. Il gol non potrà mai mancare. Il
numero 10 prende la rincorsa e colpisce la palla, che rimane lenta.
Sarà un trucco, penso io, perché gli eroi sanno sempre
quello che fanno.
Marchegiani intuisce la direzione del
tiro e si avvicina sempre di più al pallone. Un istante che dura
secoli e poi devia la sfera, respingendola fuori dalla porta.
Giuseppe Giannini si mette le mani tra i capelli, ha un'espressione
che raramente hanno gli eroi. La partita finisce uno a zero per la
Lazio ed io mi scopro seduto sul divano. Improvvisamente, Il mondo è
cambiato; è diventato un posto troppo piccolo per la magia, e gli
eroi in fondo non sono altro che normalissimi esseri umani.
Passano quasi sei mesi, comincia
l'ultimo anno delle elementari. Sono diventato un ometto, come
diceva mia nonna. La Roma è ancora allenata da Mazzone ed ha sempre
Giuseppe Giannini come capitano. Io continuo ovviamente a seguirla e
penso che Giannini sarebbe davvero un grande eroe, se solo non fosse
umano. Quell'anno il derby di andata si gioca di pomeriggio, il 27
novembre. Niente posticipo, solo telecronaca alla radio. Il 1994
sembra davvero l'anno del disincanto.
Poi all'improvviso, il colpo di scena:
il prefetto, per questioni di ordine pubblico, decide di dare la
partita in chiaro su Raitre solo nel Lazio.
Sul divano, solo io e mio padre. Sullo
schermo, sfilano di nuovo i giocatori. C'è anche Giuseppe Giannini,
il numero 10. Comincia la partita e la Roma si porta subito in
vantaggio; neanche il tempo di esultare e si va sul due a zero. A
metà secondo tempo, siamo tre a zero. La Lazio non ha mai superato
la metà campo. Il merito è quasi tutto di Giuseppe Giannini, il
principe. La sua è una prestazione immensa, quasi regale: io sono di
nuovo seduto a terra, convinto di aver appena imparato una lezione
importantissima. Il rigore sbagliato di marzo serviva solo a farmi
capire che la chiave per mantenere intatta la magia è la fiducia:
gli eroi infatti non cadono mai per davvero, il loro è solo un
trucco per farti gioire di più quando si rialzeranno. Tanti derby
sono passati da quel giorno, la Roma ha vinto uno scudetto e giocato
partite importantissime: ha vinto ed ha perso, ma io ormai avevo
trovato il mio antidoto personale contro il cinismo. Grazie a
Giuseppe Giannini, il numero 10, avevo imparato a credere negli
eroi.