mercoledì 30 novembre 2011

La confessione di un piccolo incubo


Io vivo nelle pieghe della notte. Sono scuro, ma non ho il cuore nero. Il buio è solo un buon posto dove nascondersi, ma non dove mettere radici. Sono un venditore di paure a domicilio, e busso a tutti i sogni nel tentativo che qualcuno mi apra. Il mio però è un campionario semplice, fatto di spaventi effimeri, solubili con il primo sole del mattino. Muoio un po' ogni giorno, ogni volta che una luce si accende in uno scantinato o che un bambino non ha più paura di quello che non conosce.
Per questo vi chiedo di non preoccuparvi di me. Uccidendomi, lascerete il campo libero ai sogni, che vi inganneranno mostrandovi quello che non esiste. Lasciandomi in vita, io continuerò imperterrito a disturbare il regno di Morfeo, permettendovi così di apprezzare al meglio l'unica cosa che conta davvero: la realtà. Sono scuro, ma non ho il cuore nero. Trafiggendolo otterrete solo qualcosa di peggio, di più colorato o spaventoso. Io vi aspetto dietro la porta, sperando di rubarvi un piccolo e insignificante spavento da dimenticare un attimo dopo.

Dedicato ad Harpun, che con il suo arpione ha finito per colpire anche me.
Se ne volete sapere di più, questo è il posto giusto per farlo
( http://www.harpun-comic.blogspot.com/ )

mercoledì 15 giugno 2011

Eclissi di Luna


Luna era una sognatrice, perdutamente innamorata del suo capo. Il suo universo girava tutto intorno a lui che era bello, grande e splendente, mentre lei era piccola e tonda. Non aveva nessuna speranza, e così spesso si accontentava di brillare di luce riflessa. A volte l'illusione di quel calore la portava a riempirsi di colori, ma subito li perdeva a causa della sua eterna insicurezza. Quella sera però si era fatta coraggio, e uno spicchio alla volta aveva deciso che si sarebbe dichiarata. Aveva tutto il tramonto per farlo e non c'erano nubi all'orizzonte. Gli si avvicinò, restando a distanza di sicurezza per non bruciarsi e cominciò a parlare d'amore. Lui però era troppo preso a brillare di luce propria e neanche la ascoltò. Così Luna si nascose nell'unico posto in cui nessuno l'avrebbe potuta vedere ed in quel cono d'ombra divenne rossa per la vergogna. In quel momento si rese conto di aver appena fatto qualcosa che il sole non avrebbe mai potuto fare: arrossire in preda ad un momento di debolezza. Quella notte si sentì forte come non mai. In fondo, disse, di stelle ne è più l'universo, ma quanti satelliti timidi conoscete?


mercoledì 8 giugno 2011

Solo nel mondo delle favole


La principessa soffriva per la mancanza di corteggiatori di valore. La sua bellezza perfetta, quasi soprannaturale, attirava solo principi azzurri interessati unicamente a conficcare la loro spada nel cuore di un drago. Lei sospirava rassegnata, nella speranza che un giorno avrebbe trovato qualcuno capace di sostenere una conversazione senza nominare cavalli bianchi ed armi lucenti.

L'orco aveva rinunciato da tempo a coltivare il giardino dei suoi affetti. Agli occhi delle donne era come un buco nero e nessuna si era mai fermata ad ascoltare la musica del suo cuore. Negli anni aveva imparato a foderare il suo aspetto bitorzoluto con tutta la dignità che era riuscito a trovare e la pellicola funzionava abbastanza bene come isolante dei sentimenti.

La carrozza reale correva veloce nel bosco, preoccupata di fare tardi all'ennesimo ricevimento. Una ruota ribelle decise di perdersi tra gli alberi, rovesciando il punto di vista sul mondo della principessa. L'orco fu risvegliato dal rumore e si precipitò fuori di casa.

Poiché si trattava di un mondo magico, la carrozza aveva preso fuoco, con la principessa all'interno.

L'orco arrivò sulla scena dell'incidente, si allacciò forte alla sua dignità e si tuffò tra le fiamme. La principessa riuscì solo a vedere il profilo di un volto irregolare seminascosto dal fumo, prima di svenire ormai al sicuro nel bosco. Cercò il suo salvatore in tutti i modi possibili, ma tutti i principi che millantavano l'impresa avevano sempre dei lineamenti troppo perfetti.

Aveva ormai perso la speranza quando un giorno, durante una passeggiata nel bosco rivide quella strana faccia. L'orco si girò verso di lei, sorpreso di trovare nei suoi occhi una luce che non aveva mai visto prima. Per un attimo entrambi ebbero la tentazione di affogare in un abbraccio tutti i loro problemi, ma poi si ricordarono di appartenere a mondi troppo lontani e proseguirono ognuno sulla propria orbita. Due come noi, pensarono mentre si allontanavano, possono stare insieme solo nel mondo delle favole.


mercoledì 20 aprile 2011

Incomprensioni linguistiche

Ispirato a questa storia vera (?) (http://www.repubblica.it/esteri/2011/04/19/foto/con_quello_non_parlo_e_la_lingua_muore-15143849/1/?ref=HRESS-2)


Manuel aveva la lingua annodata e non riusciva proprio a scioglierla. Chi non lo conosceva avrebbe pensato che fosse colpa del caldo, che in quel periodo si attaccava alla pelle come una colla a presa rapida. L'estate messicana però non c'entrava nulla. Era un problema differente, che riguardava sempre la pelle ma questa volta intesa solo come metafora. Continuò ad arrampicarsi sulla collina.

La vetta era ormai vicina e già riusciva ad intravedere il profilo di Isidro.

Era di nuovo arrivato prima del previsto e si era sdraiato all'ombra dell'unico albero, con la sua solita insopportabile aria di superiorità.

Manuel si chiese di nuovo cosa lo portava a salire fin lassù ogni anno allo stesso giorno nella medesima ora. Alzò gli occhi al cielo e tra le nuvole intravide il profilo di suo padre, di suo nonno e di tutta la sua famiglia. Per un attimo pensò quasi che lo stessero fissando, poi svanirono come avevano già fatto altre mille volte. Lui era l'ultimo degli Ayapa, l'unico al mondo ancora in grado di capire l'antica lingua Ayapaneco. O meglio, era quasi l'ultimo. C'era ancora suo cugino Isidro, che lo fissava ormai a meno di dieci metri di distanza.

I due si scrutarono a lungo, stringendo gli occhi come in un film di Sergio Leone. La loro era una strana forma di duello, quasi una ripercussione del destino che li aveva costretti ad avvicinarsi dopo anni di allontanamento. Nessuno dei due ricordava i motivi del loro litigio, ma ormai erano vent'anni che non si parlavano. Salivano su quella collina ogni anno e si guardavano per dieci lunghissimi minuti. Entrambi sapevano che nessuno dei due avrebbe mai proferito verbo, ma erano gli ultimi due parlanti di Ayapaneco rimasti al mondo e quel tentativo era un dovere nei confronti dei loro antenati.

Manuel non riusciva neanche a muovere la bocca e guardava avanti a sé senza con la stessa identica espressione. Lui e suo cugino sembravano due cactus che avevano finito l'acqua ma non l'orgoglio , con il triste risultato di lasciarsi consumare dal sole. Isidro, con fare teatrale aprì leggermente la bocca. Poi abbassò il capo e sputò a terra, decretando il fallimento di quella riunione. Manuel tornò sui suoi passi, mentre un'improvviso acquazzone scese dal cielo, metafora della disapprovazione dei suoi antenati.

Si girò e sorrise guardando suo cugino che si allontanava: sapeva benissimo che tutta quella messinscena non era altro che una scusa per non voler ammettere che ormai si erano entrambi dimenticati dell'antica lingua degli Ayapaneco, ma avrebbero preferito restare in silenzio per il resto della loro vita piuttosto che ammettere la verità.


mercoledì 23 febbraio 2011

A Silvia, ma per davvero




Silvia non voleva attraversare quel cortile, ma a volte non c'era proprio verso di evitarlo.

Quando le toccava cercava di camminare il più veloce possibile, perché correre le sembrava troppo scortese. Ogni tanto reclinava indietro il capo e guardava sopra di sé, quel poco che bastava per aver la conferma che quello strano giovane la stava fissando di nascosto dalla finestra del palazzo. Si chiamava Giacomo, ed in paese si mormorava che fosse lievemente storpio, ma in realtà non l'avevano quasi mai visto uscire di casa. Era sempre chino a studiare e si diceva fosse incredibilmente erudito per la sua età. Silvia non aveva ben capito cosa questo volesse dire e provava per lui una certa pena, anche se si sentiva sempre piuttosto sollevata quando finiva fuori della portata del suo sguardo. A volte le sembrava che lui agitasse la sua penna d'oca come una specie di bacchetta magica, per catturarla e portarla nel suo mondo fatto di libri e occhiali pesanti.

Per fortuna c'era Vincenzo che pensava a rassicurarla, stringendola tra le sue forti braccia da falegname. Lui le sussurrava sempre di non preoccuparsi, che quando erano insieme nessuno le avrebbe mai potuto fare del male. Lei lo baciava delicatamente e si addormentava serena, certa che Giacomo Leopardi non avrebbe mai potuto cancellare la forza del loro amore.



mercoledì 5 gennaio 2011

La porta della vita



La fica è il polo positivo del mondo, l'unico magnete capace di attrarre a sé la vita.

È un fiore che tra i suoi petali nasconde il segreto dell'amore.

È l'opposto della violenza e sa solo accogliere, mai invadere.

Esageratamente ottimista, riesce ad eccitarsi anche quando si attacca al cazzo.

È una produttrice seriale di orgasmi e la più importante fonte di inquinamento della tensione.

La fica è la regina ideale di tutti gli uomini e consapevole del suo potere sorride beata tra le cosce.